Correnti di pensiero

Sembrano essere due le principali correnti di pensiero che attestano le presunte origini del rito: una tradizionale-popolare, che vede come causa del tarantismo proprio il presunto morso del ragno, l’altra storica, che segue principalmente due linee di osservazione sulle origini e le trasformazioni del culto.

La prima rivisita il fenomeno come residuo di processi antichi di deificazione zoomorfa di alcune civiltà totemiche.

Il totemismo, soprattutto pastorale, come filosofia della natura, creava un forte bisogno di enfatizzare, per esorcizzare i frequenti nemici naturali imitandoli con la danza per raggiungere una sorta di delirio zoantropico.

Ciò che uccideva era sicuramente ciò che avrebbe guarito e, nel caso specifico del ragno, la cui puntura era assolutamente creduta mortale, era una sorta di ballare il veleno, ballare il ragno che rientrava nella tradizione dei balli di animali degli uomini arcaici delle civiltà totemiche .

La seconda linea vede il tarantismo come residuo di antichi culti greci.

E’ infatti un rito antichissimo, la letteratura storiografica medica ed in particolare quella psichiatrica anglo-americana, che si è caratterizzata nel dibattito pluridecennale sugli antecedenti del fenomeno del tarantismo, ipotizza, addirittura, questa derivazione magno-greca del fenomeno.

L’iniziatore di questa tradizione può essere considerato Henry Ernest Sigerist (1891-1957), storico della medicina, americano di origine svizzero-tedesca, formatosi intellettualmente tra la Francia, la Germania e l’Inghilterra e docente presso l’Università di Lipsia fino al 1931.

Storico anche del tarantismo scrisse The Story of Tarantism ripubblicato tre volte dal 1945 al 1948.

Sigerist, nel suo saggio, considerava il tarantismo come una manifestazione religiosa, una sorta di sopravvivenza del dionisismo orgiastico, un tempo diffuso ed egemone a Taranto, quell’angolo di Magna Grecia che fu secondo la tradizione una delle dimore elettive del dio Bacco e sede dei tradizionali sacrifici in onore della dea Cibele.

Proprio Taranto (Tarentum), fondata secondo la tradizione dai Parteni condotti da Fotanto nel 706 a. C., dopo la distruzione di Sibari e Siri ed il declino di Crotone, divenne il più importante centro della Magna Grecia. Si sviluppò anche musicalmente e culturalmente, grazie alla Scuola Pitagorica che qui si ricostituì dopo la morte di Pitagora (Samo 580 a. C. – Metaponto 497 a. C.).

Dopo aver visitato Creta e l’Egitto, nel 532 a. C., Pitagora si stabilì nella Magna Grecia legandosi politicamente al partito conservatore, e quando a fine secolo, quello democratico pervenne al potere, fu costretto da una congiura a ritirarsi con i suoi discepoli da Crotone a Metaponto, dove morì.

La sua scuola era di carattere religioso cui la dottrina sarebbe stata dettata direttamente da Apollo e fulcro di tale dottrina era ed è il numero, principio della realtà e sempre considerato intero in quanto collezione di unità.

Dal contrasto tra i numeri pari e quelli dispari traggono origine tutte le dualità del mondo e dall’equilibrio dei contrari scaturisce l’armonia dell’universo.

I pitagorici diedero vita ad un simbolismo magico dei numeri e sul piano scientifico lo studio del numero sta alla base di importanti scoperte.

In quel contesto, infatti, oltre ad apportare importanti novità nel campo della matematica, inserì il calcolo nella musica, così che la musica pitagorica, oltre al merito di aver fornito il conteggio degli intervalli in termini matematici (grazie all’uso del monocordo), fu utilizzata largamente a fini terapeutici.

La tradizione della musica risanatrice, nell’area di Taranto, si è mantenuta inalterata attraverso i secoli, insieme all’uso delle danze dionisiache, danze orgiastiche in onore di Dioniso, dio duale, che porta in sé la compresenza degli opposti.

All’origine del conflitto interiore tra bene e male che lacera l’uomo, c’era dunque questa sua natura duplice, divina e mortale e ciò a cui tendeva la religione orfica era la risoluzione di tale conflitto tramite l’identificazione mistica dell’iniziato con la divinità.

Per raggiungerla, non era sufficiente la sola liturgia dell’iniziazione ma erano indispensabili un’intima adesione, un costante impegno etico ed un continuo sforzo spirituale da parte del fedele.

Ne conseguiva anche una concezione dell’Oltretomba come luogo di beatitudine per colui che aveva raggiunto la completa purificazione ed invece, di pena per il malvagio; ciò distingueva nettamente l’escatologia orfica dalle altre religioni misteriche.

Non solo, ma dato che l’elemento dionisiaco divino e mortale, risultava identificarsi con l’anima, e quello titanico mortale, con il corpo, la liberazione dell’anima dal corpo inteso come “carcere”, “sepolcro”, cui appare legato il concetto della metempsicosi, (secondo la quale dopo la morte del corpo l’anima trasmigra reincarnandosi), si poneva come l’imperativo etico-religioso dell’orfismo quale tendenza a svalutare il corpo nei confronti dell’anima.

Il dono di profonda interiorità che esso conferiva all’esperienza religiosa sembrerebbe il tratto che più lo differenziava dal culto di Dioniso con il quale aveva comunque molti punti di contatto a cominciare dal rituale.

Dioniso o Bacco, dio della vegetazione e della fecondità, patrono della coltivazione, degli alberi ed in particolare della vite e del vino, era una delle più importanti divinità del pantheon greco.

Secondo il mito fu benefico e generoso con coloro che lo accoglievano con onore e miserabile e spietato con quanti osteggiavano il suo culto e le feste orgiastiche in suo onore erano perlopiù notturne e celebrate da donne che, vestite spesso di pelli ferine, agitando fiaccole e tirsi, in preda all’estasi e possedute dal dio vagavano per le montagne, abbandonandosi a danze turbinose, intuenti la presenza del dio quando dalla terra sgorgavano latte, vino e miele, e che al culmine del rapimento mistico sbranavano gli animali divorandoli crudi (omofagia).

Dioniso rientrava nella schiera delle giovani divinità della vegetazione che muoiono (si addormentano) e risorgono (si risvegliano) ogni anno in corrispondenza con la fine e l’inizio del ciclo vegetativo della natura.

Quale dispensatore di fecondità aveva sempre al suo seguito demoni semifirini della fertilità, sileni e satiri ed egli stesso assumeva spesso forme animali, soprattutto di toro.

Maschere e travestimenti ferini erano intimamente connessi al suo culto, nel quale il fallo aveva un posto importante, ed anche esso veniva rappresentato da una maschera.




Dioniso, un satiro e due menadi. Cratere attico (fine del V sec. a. C.) (da de Jorio 1832)

Le feste in suo onore erano chiamate dionisie.

Con l’annullamento dei riti pagani, pianificato e perseguito nel Medio Evo dai grandi Maestri della Chiesa, questo tipo di abitudini popolari nella terra del Sud si incanalarono in un nuovo fenomeno: il tarantismo, all’origine del quale, come già detto, si colloca popolarmente il morso della Lycosa Tarentula, ma che in realtà era anche una sintesi tra danza orgiastica e musica a fini terapeutici.

In realtà la danza conservava aspetti scomposti, disordinati ed equivoci ma, per il semplice fatto di non essere ufficialmente finalizzata al culto di Doniso, perché ormai cristianizzata, diventava in qualche modo compatibile con le istituzioni medievali, civili e religiose.

Rimase così un canale di sfogo legalizzato delle pulsioni erotico-sessuali, autoprotezione e integrazione sociale dei sofferenti di malattie mentali e psichiche.

Il tarantismo, dunque, era un’eredità di questi culti orgiastici del mondo antico ma camuffato come malattia per non incorrere nella condanna della Chiesa che, in quel periodo, mirava a debellare tutte le forme di superstizione e di magia esistenti.

Fu quasi scontato, dunque, che un movimento religioso, quale quello orfico, che praticava un complesso culto di Dioniso, costretto dalla necessità di sopravvivere nel nuovo ordine cristianizzato, facesse affidamento a fattori tossicologici e al retaggio magnogreco della iatromusica per giustificare la permanenza di eventi che, in effetti, costituivano un vero e proprio sistema rituale organizzato secondo un calendario ed una sorta di liturgia cui dovette essere in qualche modo preposto un Clero.

Il movimento religioso orfico vide le sue origini nella Magna Grecia con Orfeo, cantore e musico, figlio del trace Eagro o di Apollo e della musa Calliope. Il suo canto dolcissimo incantava persino gli animali selvatici, le pietre e le piante.

Orfeo, secondo il mito venne ucciso dalle menadi o dalle donne traci ed il suo capo mozzo, galleggiò sui flutti, sempre cantando, fino all’isola di Lesbo. Il suo insegnamento etico-religioso poggiava su particolari concezioni cosmogoniche-teogoniche ed antropogoniche.

Sigerist valutò il fenomeno del tarantismo come esempio di sincretismo religioso e riuscì a trovare un nesso tra medicina e religione in quell’implicita e drammatica ricerca della felicità che i tarantati perseguivano con le loro pazze evoluzioni coreutiche.

Il fenomeno fu inserito dai Vescovi tra i riti di magia primitiva, senza riferimenti precisi, nel senso che nei documenti canonici, la sua condanna, era un atto ripetitivo, scontato e privo di riscontri diretti, spesso censurato perché sconosciuto, e perché i Vescovi temevano di essere accusati di lassismo dalle autorità centrali.