Un culto che ingabbiò il Tarantismo

Nel Cinquecento, per primi e per lungo tempo, coloro che si fecero carico di debellare ogni forma di superstizione e magia sopravvissuta all’opera di bonifica portata avanti dal Clero delle parrocchie, furono i Gesuiti.

Essi adottarono una strategia detta di accomodamento alle capacità del popolo, che comportava innanzi tutto la conoscenza del fenomeno e poi la sua canalizzazione entro i confini dell’Ortodossia per sostituirlo con nuove forme di religiosità accettate dalla Chiesa Controriformista.

I Gesuiti cristianizzarono un rito di origine pagana santificando i suoi simboli ed amplificando le qualità taumaturgiche una volta individuato il Santo. Il problema più grande, quindi, fu cercare il culto che si presentava, sul piano dell’Ortodossia cattolica, più idoneo ad ingabbiare la ritualità magico-pagana della danza dei tarantati.

Fu proprio allora che emerse la figura di San Paolo come liberatore, quindi guaritore dalla tarantola e protettore degli indemoniati che saranno coloro i quali avranno bisogno della sua benevolenza, del suo aiuto e delle sue grazie in quanto necessitano di essere liberati dal male oscuro che li opprime.

La tradizione racconta che i santi Pietro e Paolo fecero tappa a Galatina durante i loro viaggi di evangelizzazione.

San Pietro, nel viaggio da Otranto a Taranto, si racconta che si sia fermato nel podere “Pisanello” in contrada San Vito e qui trovò riposo su una grossa pietra che attualmente viene custodita nella Chiesa Matrice, a lui dedicata e la città prese il nome di San Pietro in Galatina. Col tempo ritornò poi ad essere Galatina.

L’apostolo Paolo, invece, fu ospitato da un religioso galatinese nella propria casa, dove poi venne edificata una cappella oggi chiamata la Chiesetta di San Paolo.

In quella casa esisteva un pozzo, (tuttora è possibile trovarne traccia), la cui acqua aveva il potere di guarire quanti venivano morsicati da animali velenosi.

Al feudo di Galatina il santo concesse l’immunità dal veleno dei serpenti e da ogni altro animale velenoso, soprattutto le tarantole e ogni anno nel giorno della festa le tarantate accorrevano per invocare la guarigione.

Chi accompagnava la tarantata attingeva acqua da quel pozzo con un secchio e la dava da bere al mal capitato che ne beveva così tanta fino a rigettarla tutta nel pozzo dove comparivano serpenti che tentavano di afferrarlo. Chiusa l’imboccatura del pozzo con il coperchio il miracolo era compiuto.



Galatina. Pozzo della Cappella delle tarantate in via Garibaldi ubicato sotto il settecentesco palazzo Congedo. Interessante l’affresco, poco leggibile, raffigurante San Paolo.

Agli inizi degli anni cinquanta il pozzo, con ordinanza del sindaco, venne fatto murare per motivi igienici dopo che la falda si era inaridita.

Il fenomeno del tarantismo, da trasgressione da cancellare, divenne sotto il protettorato Paolino, una normale manifestazione di religiosità popolare, le sue melodie ritmiche e i balli, inserito nell’alveo delle devozioni controriformistiche, non trovano più l’opposizione delle Autorità Ecclesiastiche e riusciranno a sopravvivere alla repressione.

La probabile legittimazione romana, che avvenne sicuramente posteriormente all’assorbimento cristiano del rito pagano, può aver segnato la fine della fase repressiva ma non si conoscono ancora le tappe canoniche che segnano l’accettazione.

In questi casi l’elemento che attesta l’avvenuta sacralizzazione del rito è offerto dalla richiesta e dall’ottenimento del patronato Paolino.

La Comunità di Terra d’Otranto, ritenuta sul piano simbolico Galatina, la sede elettiva del tarantismo può aver promosso intorno agli anni venti del XVIII secolo la richiesta di adozione del protettorato Paolino.

L’istruttoria, secondo le notizie fornite da Nicola Caputi, durò fino al 1741, quando pare si sia conclusa.